http://zret.blogspot.com/2011/07/la-fine-del-mondo-storto.html
La fine del mondo storto
Mai, come in questi tempi, è necessario trascendere.
La fine del mondo storto” è un romanzo di Mauro Corona, pubblicato nel 2010. Liquidiamo subito l’opera: è un testo a tesi, piatto e mal scritto, irritante per il suo ambientalismo a senso unico (lotta contro gli autoarticolati che attraversano le valli montane, ma neanche un richiamo alla geo-ingegneria). Vi accenno solo per svolgere alcune riflessioni. L’autore, che è anche scultore, prospetta uno scenario futuro in cui l’umanità deve all’improvviso fronteggiare una realtà senza energia e senza tecnica. Gelo, fame, sete ed immani ostacoli pratici attendono sia i ricchi sia gli indigenti. Corona è facile profeta: anche se le cause del “nuovo Medioevo” non saranno quelle da lui additate, è inevitabile che il mondo precipiti nella miseria e nel buio, pure in senso letterale.
Resteranno come uniche risorse la natura e l’ingegno: la prima, dipinta con le solite pennellate estetizzanti, sarà molto più avara, provata tra l’altro da decenni di contaminazioni, di quanto si possa oggi immaginare; il secondo dovrà vedersela con l’egoismo. Nelle situazioni peggiori, molti uomini riescono a dare il peggio di sé e la discordia fra chi versa in frangenti è la regola. E’ puerile l’appello dell’autore a riscoprire la sapienza dei nonni, mentre è verosimile la cruda descrizione di un mondo dove gli scintillanti oggetti della tecnologia più avveniristica sono perfettamente inutili.
E’ pur sempre una finzione letteraria, eccepirà qualcuno. No! L’avvenire che ci aspetta è probabilmente questo, piaccia o no, sia perché è stato programmato sia perché sarà una lezione per gli uomini di oggi, abituati quasi tutti solo a lamentarsi. Sarà una lezione da cui molti non apprenderanno alcunché: la si veda come un compenso per gli oziosi lamentosi che pullulano nell’opulento Occidente, se esiste una Giustizia superiore. Certo, gli eventi colpiranno nel mucchio e non è escluso che qualche viziato si salvi. Se, però, la tumultuosa storia umana culminerà in un pareggio dei conti, in ultima istanza si raccoglierà quanto si è seminato.
Sarà dunque la fine, “la fine di un mondo storto”, come recita in maniera molto opportuna il titolo. Storto è soprattutto l’uomo di oggi, amputato degli arti che lo collegavano alla natura madre-matrigna. E’ un uomo cui non è stata strappata l’anima, poiché semplicemente l’ha lasciata marcire. La morte fisica è solo il suggello di una morte metafisica, assai più grave. Il sintomo della morte interiore si concretizza nell’indifferenza per tutto ciò che è sacro, sublime, elfico.[1]
L’uomo d’oggi, nonostante (o a causa?) di tutta la sua tecnologia, è una creatura malferma, malata, debole, minorata, eppure, in quanto ignara di tale condizione, arrogante e piena di sicumera. E’ simile ad uno che usi le stampelle per camminare e per percuotere chi gli è antipatico: se gli si tolgono le grucce, lo si rende impotente.
E’ un’umanità di enfants gaté, di schizzinosi e pretenziosi, di incontentabili. L’arte della querimonia è l’unica in cui eccelle. Persino il pensionato che, sovente a ragione, impreca contro il governo ed i partiti per poi comunque votare, è arido oltre che schiavo, come il borghese, di molte comodità date per scontate: ad esempio, aprire il rubinetto e poter usare l’acqua (sia pure inquinata) per lavarsi, bere, cucinare…è un (piccolo) lusso che apprezzerà solo quando dalla cannella non cadrà più una sola goccia. Non chiediamogli poi di comprendere la sacralità dell’acqua.
Ben venga dunque una tabula rasa. Non attendiamoci risoluzioni umane, perché, non solo non esistono, ma anche, poiché, tranne pochi casi, non le meritiamo. Non attendiamo salvatori o soccorritori terreni: persino una società, passata al vaglio della carestia e della guerra, prima o dopo ricade nei suoi usuali errori. Lasciamo ai romanzieri come Corona l’ingenua evocazione di utopie agricolo-pastorali o addirittura silvestri. Lasciamo ai globalizzatori la prospettiva di una “pace” universale. Lasciamo ai sognatori l’idea di un intervento esterno.
La salvezza, per quei pochi che potranno attingerla, sarà nel totale distacco e nell’abnegazione.
[1] Si consideri il valore ambivalente dei termini “sacro” e “sublime”: nello specifico sacro non è solo “santo”, ma pure “estraneo, potentissimo, numinoso, terribile”. Così chi coglie nella natura, lato sensu, solo aspetti gradevoli, scivola in una concezione limitata e turistica; gli antichi di fronte all’enigma dionisiaco dell’essere, erano, invece, estasiati ed atterriti. E’ naturale che questo discorso non può essere compreso dalle beghine.
La fine del mondo storto” è un romanzo di Mauro Corona, pubblicato nel 2010. Liquidiamo subito l’opera: è un testo a tesi, piatto e mal scritto, irritante per il suo ambientalismo a senso unico (lotta contro gli autoarticolati che attraversano le valli montane, ma neanche un richiamo alla geo-ingegneria). Vi accenno solo per svolgere alcune riflessioni. L’autore, che è anche scultore, prospetta uno scenario futuro in cui l’umanità deve all’improvviso fronteggiare una realtà senza energia e senza tecnica. Gelo, fame, sete ed immani ostacoli pratici attendono sia i ricchi sia gli indigenti. Corona è facile profeta: anche se le cause del “nuovo Medioevo” non saranno quelle da lui additate, è inevitabile che il mondo precipiti nella miseria e nel buio, pure in senso letterale.
Resteranno come uniche risorse la natura e l’ingegno: la prima, dipinta con le solite pennellate estetizzanti, sarà molto più avara, provata tra l’altro da decenni di contaminazioni, di quanto si possa oggi immaginare; il secondo dovrà vedersela con l’egoismo. Nelle situazioni peggiori, molti uomini riescono a dare il peggio di sé e la discordia fra chi versa in frangenti è la regola. E’ puerile l’appello dell’autore a riscoprire la sapienza dei nonni, mentre è verosimile la cruda descrizione di un mondo dove gli scintillanti oggetti della tecnologia più avveniristica sono perfettamente inutili.
E’ pur sempre una finzione letteraria, eccepirà qualcuno. No! L’avvenire che ci aspetta è probabilmente questo, piaccia o no, sia perché è stato programmato sia perché sarà una lezione per gli uomini di oggi, abituati quasi tutti solo a lamentarsi. Sarà una lezione da cui molti non apprenderanno alcunché: la si veda come un compenso per gli oziosi lamentosi che pullulano nell’opulento Occidente, se esiste una Giustizia superiore. Certo, gli eventi colpiranno nel mucchio e non è escluso che qualche viziato si salvi. Se, però, la tumultuosa storia umana culminerà in un pareggio dei conti, in ultima istanza si raccoglierà quanto si è seminato.
Sarà dunque la fine, “la fine di un mondo storto”, come recita in maniera molto opportuna il titolo. Storto è soprattutto l’uomo di oggi, amputato degli arti che lo collegavano alla natura madre-matrigna. E’ un uomo cui non è stata strappata l’anima, poiché semplicemente l’ha lasciata marcire. La morte fisica è solo il suggello di una morte metafisica, assai più grave. Il sintomo della morte interiore si concretizza nell’indifferenza per tutto ciò che è sacro, sublime, elfico.[1]
L’uomo d’oggi, nonostante (o a causa?) di tutta la sua tecnologia, è una creatura malferma, malata, debole, minorata, eppure, in quanto ignara di tale condizione, arrogante e piena di sicumera. E’ simile ad uno che usi le stampelle per camminare e per percuotere chi gli è antipatico: se gli si tolgono le grucce, lo si rende impotente.
E’ un’umanità di enfants gaté, di schizzinosi e pretenziosi, di incontentabili. L’arte della querimonia è l’unica in cui eccelle. Persino il pensionato che, sovente a ragione, impreca contro il governo ed i partiti per poi comunque votare, è arido oltre che schiavo, come il borghese, di molte comodità date per scontate: ad esempio, aprire il rubinetto e poter usare l’acqua (sia pure inquinata) per lavarsi, bere, cucinare…è un (piccolo) lusso che apprezzerà solo quando dalla cannella non cadrà più una sola goccia. Non chiediamogli poi di comprendere la sacralità dell’acqua.
Ben venga dunque una tabula rasa. Non attendiamoci risoluzioni umane, perché, non solo non esistono, ma anche, poiché, tranne pochi casi, non le meritiamo. Non attendiamo salvatori o soccorritori terreni: persino una società, passata al vaglio della carestia e della guerra, prima o dopo ricade nei suoi usuali errori. Lasciamo ai romanzieri come Corona l’ingenua evocazione di utopie agricolo-pastorali o addirittura silvestri. Lasciamo ai globalizzatori la prospettiva di una “pace” universale. Lasciamo ai sognatori l’idea di un intervento esterno.
La salvezza, per quei pochi che potranno attingerla, sarà nel totale distacco e nell’abnegazione.
[1] Si consideri il valore ambivalente dei termini “sacro” e “sublime”: nello specifico sacro non è solo “santo”, ma pure “estraneo, potentissimo, numinoso, terribile”. Così chi coglie nella natura, lato sensu, solo aspetti gradevoli, scivola in una concezione limitata e turistica; gli antichi di fronte all’enigma dionisiaco dell’essere, erano, invece, estasiati ed atterriti. E’ naturale che questo discorso non può essere compreso dalle beghine.
Quindi secondo la critica Zretina della letteratura, se un libro non parla di geo-ingegneria è un libro del cazzo. Questo riduce la letteratura mondiale a ...Rosario e Antonio Marcianò
ReplyDeletePorcaccia la miseria o'professo coglio' fa lo jettatore, che peste lo colga e tutte le sfighe del mondo possano cadere su di lui e sul fratello fannullone !!!
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