http://zret.blogspot.it/2012/05/oggetti-impossibili.html
Oggetti impossibili
Alcuni
oggetti sono impossibili, autocontraddittori. Lo sono i dizionari e le
enciclopedie che mirano a raccogliere vasti o amplissimi settori dello
scibile umano: sennonché è impensabile ed utopico riunire tutto il
sapere, anche relativo ad una sola disciplina, in un libro, essendo il
sapere illimitato. Inoltre nel gioco inesauribile di rimandi interni,
questi libri manifestano la loro natura dedalica e perennemente
estensibile. Ogni lemma, infatti, si può espandere ad infinitum
ora con rinvii nell’ambito dello stesso testo ora con riferimenti ad
opere esterne già compilate o da compilare. Le definizioni non
definiscono; le voci si attorcigliano ad altre voci…
Anche alcune opere letterarie sono oggetti impossibili. L”Orlando furioso” è un poema senza un vero incipit, in quanto concepito come prosecuzione dell’Orlando innamorato”, e privo di un epilogo definitivo, poiché dalle ultime avventure, nella ramificazione dell’entrelacement, potrebbero rampollare ulteriori digressioni, enclaves narrative, mises en abyme…
Come intuisce Jorge Luis Borges nel racconto “La biblioteca di Babele”, è l’universo stesso ad essere un oggetto illogico. A differenza di altre narrazioni filosofiche dovute alla fantasia dello scrittore argentino, testi in cui l’enigma sfida le più sagaci interpretazioni, la storia in esame rivela, sin dalle prime righe, il significato delle allegorie. “L’universo (che altri chiama la biblioteca) si compone di un numero indefinito e forse infinito di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere”. Così il nucleo d’apertura identifica il cosmo con la sterminata biblioteca, immagine di un mondo ambiguo dove finzione e realtà si sovrappongono e si confondono. Il mondo-biblioteca, la cui infinità può essere solo congetturata, è periodico e geometrico (gli esagoni e le ricorrenze numeriche), ma il suo ordine è caotico, la sua armonia è dissonante. E’ un luogo informe, insensato, babelico. In questo modo la perfetta regolarità coincide con la suprema irrazionalità.
Tuttavia Borges non si arresta a questa conclusione per avventurarsi in un’altra esegesi: al fondo del racconto – ha osservato lo scrittore – “giace l’idea di essere sperduti nell’universo, di non comprenderlo, il desiderio di trovare una risoluzione precisa, il sentimento di ignorare la vera risoluzione.” Perciò la biblioteca può essere metafora di Dio: l’Essere supremo garantisce, di là dalle apparenze mutevoli ed incongruenti, una legge intrinseca, combinatoria. Tuttavia, pare insinuare Borges, un’ombra di irrazionalità vela lo stesso volto di Dio.
Tra gli spazi vertiginosi del tempo, tra gli incavi delle pagine indecifrabili, si accumula la polvere.
Il male (STRACATALOL, guardate dove punta il link) stesso, sottrattigli lo scopo e la direzione, si staglia in tutta la sua gratuità e casualità più ferree. La vita, espressione incongrua del nulla in cui alberga Dio nel suo silenzio abissale, si svuota di ogni senso per essere aggiunta al catalogo degli oggetti assurdi, nel glossario dei termini di una lingua defunta, mai decifrata.
Attaccati all’esistenza come ostriche allo scoglio (ha parlato la cozza incollata agli scarichi delle fognature) e, nel contempo, consci nel nostro intimo del suo peso insostenibile, della sua radicale non-razionalità, viviamo scissi sapendo che la risposta potrebbe arrivare – se mai arriverà – quando il tempo (o il Tempo?) sarà scaduto.
Anche alcune opere letterarie sono oggetti impossibili. L”Orlando furioso” è un poema senza un vero incipit, in quanto concepito come prosecuzione dell’Orlando innamorato”, e privo di un epilogo definitivo, poiché dalle ultime avventure, nella ramificazione dell’entrelacement, potrebbero rampollare ulteriori digressioni, enclaves narrative, mises en abyme…
Come intuisce Jorge Luis Borges nel racconto “La biblioteca di Babele”, è l’universo stesso ad essere un oggetto illogico. A differenza di altre narrazioni filosofiche dovute alla fantasia dello scrittore argentino, testi in cui l’enigma sfida le più sagaci interpretazioni, la storia in esame rivela, sin dalle prime righe, il significato delle allegorie. “L’universo (che altri chiama la biblioteca) si compone di un numero indefinito e forse infinito di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere”. Così il nucleo d’apertura identifica il cosmo con la sterminata biblioteca, immagine di un mondo ambiguo dove finzione e realtà si sovrappongono e si confondono. Il mondo-biblioteca, la cui infinità può essere solo congetturata, è periodico e geometrico (gli esagoni e le ricorrenze numeriche), ma il suo ordine è caotico, la sua armonia è dissonante. E’ un luogo informe, insensato, babelico. In questo modo la perfetta regolarità coincide con la suprema irrazionalità.
Tuttavia Borges non si arresta a questa conclusione per avventurarsi in un’altra esegesi: al fondo del racconto – ha osservato lo scrittore – “giace l’idea di essere sperduti nell’universo, di non comprenderlo, il desiderio di trovare una risoluzione precisa, il sentimento di ignorare la vera risoluzione.” Perciò la biblioteca può essere metafora di Dio: l’Essere supremo garantisce, di là dalle apparenze mutevoli ed incongruenti, una legge intrinseca, combinatoria. Tuttavia, pare insinuare Borges, un’ombra di irrazionalità vela lo stesso volto di Dio.
Tra gli spazi vertiginosi del tempo, tra gli incavi delle pagine indecifrabili, si accumula la polvere.
Il male (STRACATALOL, guardate dove punta il link) stesso, sottrattigli lo scopo e la direzione, si staglia in tutta la sua gratuità e casualità più ferree. La vita, espressione incongrua del nulla in cui alberga Dio nel suo silenzio abissale, si svuota di ogni senso per essere aggiunta al catalogo degli oggetti assurdi, nel glossario dei termini di una lingua defunta, mai decifrata.
Attaccati all’esistenza come ostriche allo scoglio (ha parlato la cozza incollata agli scarichi delle fognature) e, nel contempo, consci nel nostro intimo del suo peso insostenibile, della sua radicale non-razionalità, viviamo scissi sapendo che la risposta potrebbe arrivare – se mai arriverà – quando il tempo (o il Tempo?) sarà scaduto.
Pubblicato da Zret e dai due suoi neuroni avariati in gita su Marte
potrebbero rampollare ulteriori digressioni
ReplyDeleteMeno male che almeno loro due non hanno rampollato nessuno..
E lascia stare Borges, non riuscirai mai a capirlo.
Lui non riuscirà mai a capire tante cose...
DeleteMa ha visto volare i Mini Pony... No era solo il fumo delle canne che si fuma per dire certe tavanate
ReplyDeleteAntonio sciacallo ignorante invidioso spocchioso incompetente e supponente marcianò, lo sai che, contrariamente a quanto affermi, il Monte Sassolungo non è in Cina ma sulle Dolomiti? (vedere anche qui, qui, qui, qui). La sciacallaggine di tuo fratello il FALLITO è sigmatizzata in rete anche QUI, QUI, QUI, QUI
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