http://zret.blogspot.com/2010/01/ai-confini-del-linguaggio.html
Ai confini del linguaggio
Che cos'è il linguaggio? Esiste qualcosa oltre il linguaggio? Sono questioni ardue, giacché bisognose di presupposti saldi attraverso definizioni rigorose; occorrerebbe anche distinguere tra linguaggio e lingua. La lingua è contraddistinta da una doppia articolazione (il significante, ossia la struttura del segno, nella lingua, può essere scisso ulteriormente, laddove nel linguaggio il suono non può essere ulteriormente scomposto).
Tralasciando aspetti complessi, proviamo ad accennare alla natura del linguaggio nel mondo contemporaneo, in cui, come osserva Angelo Ciccarella, "la realtà è stata rimpiazzata dalla relazione". Infatti le parole, con la loro forza di simbolizzazione, tendono a sostituire le azioni, i sentimenti, le sensazioni ed i referenti. Si crea in questo modo una frattura tra l'uomo e le cose, tra uomo ed uomo, divenuti inter-locutori. Si può dunque almeno in parte condividere il pensiero di Hagege che annota: "La lingua è una delle manifestazioni più alte e, al tempo stesso, più banalmente quotidiane della cultura".
Credo che sia fondamentale una distinzione che si inarca in una dicotomia: da un lato assistiamo alla strutturazione di un linguaggio sempre più invadente, basato sul codice binario, su bit, su impulsi; dall'altro si staglia in lontananza, simile ad un tremulo miraggio balenante all'orizzonte, il linguaggio vero che, superando le transazioni comunicative, gli usi strumentali, mira a rasentare l'essere. Heidegger, in alcune sue elucubrazioni talora (volutamente) oscure ma a volte profonde allude a questo tipo di logos. Nel testo In cammino verso il linguaggio il filosofo tedesco scrive: "Ma dove il linguaggio, come il linguaggio si fa parola? Pare strano, ma là dove noi non troviamo la giusta parola per qualche cosa che ci tocca, che ci trascina, ci tormenta e ci entusiasma. Allora lasciamo nell'inespresso quello che intendiamo e, senza che ce ne rendiamo conto, viviamo attimi in cui il linguaggio, proprio il linguaggio ci sfiora di lontano e fuggevolmente con la sua essenza."
Quindi ciò che giace nel non detto, nel detto a fior di labbra, nel detto ma in modo provvidenzialmente approssimativo è capace di evocare l'essenza ed è qui evidente che l'essenza, come la parola, è imparentata con il silenzio. In principio era il Logos? In principio era il silenzio, il non manifesto di cui il Logos è il palesamento primo. Il valore mistico, quasi spirituale che Heidegger tende ad attribuire alla voce è agli antipodi della parola standardizzata e sclerotica della "cultura" odierna. E' la parola sacra dei profeti, la metafora (trascendimento) degli artisti, ad alludere, ad illimpidire il senso, a riflettere l'essere come uno specchio. Essa è insofferente della logica e delle corrispondenze biunivoche tra segno e denotatum (l'oggetto), tra significante e significato, tra locutore e funzione. Non è il linguaggio che disegna una mappa del territorio per sostituirlo con la rappresentazione. E' questo, ad esempio, il linguaggio della scienza che, una volta elaborata una formula plausibile e sovente effimera, vi incastra a forza il reale con tutte le sue sfaccettature e contraddizioni.
Certo, qui ci si deve chiedere che cosa sia il reale e se sia possibile conoscerne qualche frammento, al di fuori del linguaggio, per quanto convenzionale (?) ed impreciso. Ci domandiamo se l'essenza stessa dell'essere sia linguistica, ossia costruita su rapporti per così dire alfanumerici. E' evidente che i fenomeni sono di tale indole, ma non sappiamo se lo sia anche il noumeno. E' probabile che, oltre le apparenze, si occulti un essere la cui natura sfugge a qualsiasi categorizzazione.
Dunque si potrebbe concludere un discorso, che aborre da qualsivoglia conclusione, con una frase di Federigo Tozzi, trasferendola, con un po' di audacia, dall'ambito psicologico-intimista in cui sbocciò ad una sfera ontologica: "Vi è in noi sempre un mondo che sembra destinato al silenzio ed è forse il migliore ed il più significativo."
Tralasciando aspetti complessi, proviamo ad accennare alla natura del linguaggio nel mondo contemporaneo, in cui, come osserva Angelo Ciccarella, "la realtà è stata rimpiazzata dalla relazione". Infatti le parole, con la loro forza di simbolizzazione, tendono a sostituire le azioni, i sentimenti, le sensazioni ed i referenti. Si crea in questo modo una frattura tra l'uomo e le cose, tra uomo ed uomo, divenuti inter-locutori. Si può dunque almeno in parte condividere il pensiero di Hagege che annota: "La lingua è una delle manifestazioni più alte e, al tempo stesso, più banalmente quotidiane della cultura".
Credo che sia fondamentale una distinzione che si inarca in una dicotomia: da un lato assistiamo alla strutturazione di un linguaggio sempre più invadente, basato sul codice binario, su bit, su impulsi; dall'altro si staglia in lontananza, simile ad un tremulo miraggio balenante all'orizzonte, il linguaggio vero che, superando le transazioni comunicative, gli usi strumentali, mira a rasentare l'essere. Heidegger, in alcune sue elucubrazioni talora (volutamente) oscure ma a volte profonde allude a questo tipo di logos. Nel testo In cammino verso il linguaggio il filosofo tedesco scrive: "Ma dove il linguaggio, come il linguaggio si fa parola? Pare strano, ma là dove noi non troviamo la giusta parola per qualche cosa che ci tocca, che ci trascina, ci tormenta e ci entusiasma. Allora lasciamo nell'inespresso quello che intendiamo e, senza che ce ne rendiamo conto, viviamo attimi in cui il linguaggio, proprio il linguaggio ci sfiora di lontano e fuggevolmente con la sua essenza."
Quindi ciò che giace nel non detto, nel detto a fior di labbra, nel detto ma in modo provvidenzialmente approssimativo è capace di evocare l'essenza ed è qui evidente che l'essenza, come la parola, è imparentata con il silenzio. In principio era il Logos? In principio era il silenzio, il non manifesto di cui il Logos è il palesamento primo. Il valore mistico, quasi spirituale che Heidegger tende ad attribuire alla voce è agli antipodi della parola standardizzata e sclerotica della "cultura" odierna. E' la parola sacra dei profeti, la metafora (trascendimento) degli artisti, ad alludere, ad illimpidire il senso, a riflettere l'essere come uno specchio. Essa è insofferente della logica e delle corrispondenze biunivoche tra segno e denotatum (l'oggetto), tra significante e significato, tra locutore e funzione. Non è il linguaggio che disegna una mappa del territorio per sostituirlo con la rappresentazione. E' questo, ad esempio, il linguaggio della scienza che, una volta elaborata una formula plausibile e sovente effimera, vi incastra a forza il reale con tutte le sue sfaccettature e contraddizioni.
Certo, qui ci si deve chiedere che cosa sia il reale e se sia possibile conoscerne qualche frammento, al di fuori del linguaggio, per quanto convenzionale (?) ed impreciso. Ci domandiamo se l'essenza stessa dell'essere sia linguistica, ossia costruita su rapporti per così dire alfanumerici. E' evidente che i fenomeni sono di tale indole, ma non sappiamo se lo sia anche il noumeno. E' probabile che, oltre le apparenze, si occulti un essere la cui natura sfugge a qualsiasi categorizzazione.
Dunque si potrebbe concludere un discorso, che aborre da qualsivoglia conclusione, con una frase di Federigo Tozzi, trasferendola, con un po' di audacia, dall'ambito psicologico-intimista in cui sbocciò ad una sfera ontologica: "Vi è in noi sempre un mondo che sembra destinato al silenzio ed è forse il migliore ed il più significativo."
Eh???? O_O
ReplyDeleteQualcuno mi fa la sinossi, l'apocope, il gerundivo.... insomma, QUALUNQUE cosa per aiutarmi a capire 'sta pappardella?
Saluti
Michele
Io d'ora in poi adotterò il sistema "guardare le figure" quando vedrò scritte le minchiate d'o professore di 'sto randazzo. In questo caso bellissimo, il quadro di Magritte, tra i miei artisti preferiti.
ReplyDeleteilpeyote surrealista
La domanda sorge spontanea: visto l'infimo livello culturale dei quattro gatti del vomitato, per chi scrive lo zretino? Per sè stesso? Vuole dimostrare al mondo di essere un fine intellettuale? Non lo sei, serve ben altro, scendi pure a terra.
ReplyDeleteHanmar said...
ReplyDeleteQualcuno mi fa la sinossi, l'apocope, il gerundivo.... insomma, QUALUNQUE cosa per aiutarmi a capire 'sta pappardella?
Ecco qua il riassunto:
" "
mc
Ormai o'professore e' rimasto l'unico a capire cio' che scrive. Sempre che non ci riesca nemmeno lui
ReplyDeleteE' un esempio di cosa sia un significante senza significato.
ReplyDeletemc
Dunque:
ReplyDeletesi nota come zretino, con la sua ancestrale sicumera che lo caratterizza, nella sua ipostasi universale, dato il l’acclive sentiero cui si inerpica per scrivere le minchiate giornaliere, mostri poca acuzie che impedisce al soggetto di scoprire il falso adonestare del fratellone sanguisuga, da sempre invece pieno di evidente albagia. Cosicchè lo coadiuva, dalla altana sanremese preferita, nella loro ambage ormai sempre più chiaramente onocoluta. Ma ormai sempre più andita è la via ed i continui quanto artati discorsi del fratellone atti ad eliminare ogni sorta di atarassia creano in lui inganno cosicchè il sobrio antèlio diiene altresì motivo di un qual brado dubbio che causa nel nostro eroe una sorta di Borborigmo cronico e cachessia generale sfociante quindi in tali siffatte opere letterali.
Ecco, così è più chiaro, anche se non proprio come i discorsi di zretino
Saluti
MarcoB (aspirante oratore dal linguaggio semplice, con sicumera, si intende)