Stato, uomini e Dio in Horkheimer: qualche breve riflessione
Il filosofo tedesco Horkheimer (1895-1973) mette in luce, grazie ad una stringente analisi, le principali falle della modernità: il monopolio della scienza, l'ipertrofia dello stato, la "morte di Dio". In "Dialettica dell'Illuminismo"(1947), opera scritta in collaborazione con Adorno, Horkheimer critica la scienza moderna e contemporanea di tipo fisico-matematico, vista come inevitabile alleata del pernicioso progetto che ha portato all'attuale deriva tecnologica. Questo spiega perché "Dialettica dell'Illuminismo" cominci con una reprimenda di Bacone: "Benché alieno dalla matematica, Bacone seppe cogliere esattamente l'animus della scienza successiva. Il felice connubio, cui egli pensa, fra l’intelletto umano e la natura delle cose, è di tipo patriarcale: l'intelletto che vince la superstizione deve comandare alla natura disincantata. Il sapere, che è potere, non conosce limiti né all'asservimento delle creature né nella sua docile acquiescenza ai signori del mondo."
La natura prevaricatrice della scienza si accoppia ad una sovrastruttura ideologica che si esplica nel totale appeasement alle istanze delle classi dominanti. L'applicazione tecnologica della ricerca, più che favorire un maggiore benessere, diventa strumento di controllo, la longa manus di un sistema che il pensatore definisce "mondo amministrato", il definitivo compimento del regno moderno della schiavitù. "La logica immanente della storia porta in realtà ad un mondo amministrato. Tramite la potenza in via di sviluppo della tecnica, la ristrutturazione inarrestabile dei singoli popoli in gruppi rigidamente organizzati, tramite una competizione senza risparmio di colpi tra i blocchi contrapposti, a me sembra inevitabile la totale amministrazione della società."
In tale contesto, l'alienazione dell'uomo si radica nei rapporti interpersonali, si concreta nel lavoro estraniante, si appropria della dimensione individuale. Questa alienazione è tanto più grave in quanto non percepita come tale, ma persino accettata ed apprezzata, in un totale stravolgimento della condizione umana ormai automatizzata. Manca, oggi giorno, qualsiasi coscienza di tale coercizione: così lo schiavo si ritiene libero, perché partecipa alle consultazioni elettorali e trova la sua realizzazione quanto più si allontana dalla realtà, rifugiandosi in un eden fittizio di informazione preconfezionata e di divertimenti omologati.
L'incoscienza del proprio stato ostacola il pensiero e l'azione, come dissenso e contestazione del potere: il suddito è in letargo o, meglio, vive in una dimensione allucinatoria dove le immagini e le notizie dei media mainstream proiettano un universo artificioso e narcotizzante. Paradossalmente è l'antropocentrismo che distrugge l'identità umana, poiché recide i legami con la natura e con l'Altro. Vellicandolo nel suo orgoglio sub-umano, la modernità lusinga l'individuo con la felicità tecnologica, gli prospetta una quasi immortalità bionica, eclissando, tramite la divinizzazione dell'effimero, il senso del tempo e della caducità. La morte, esorcizzata e rimossa, è confinata nel dominio dell'inattuale, di una ritualità banale e conformista.
Si perde il sentimento della finitezza umana, pietra di paragone rispetto all'ulteriore. La chiusura verso la Trascendenza è negazione delle domande (l'uomo che non pensa è oggetto "usa e getta"), deproblematizzazione della vita e del cosmo: il risultato non è neppure l'ateismo, ma l'indifferenza. Come afferma Horkheimer: "Non possiamo provare l'esistenza di Dio, anzi di fronte al dolore del mondo, di fronte all'ingiustizia, è impossibile credere nel dogma dell'esistenza di un Dio onnipotente e sommamente buono. In particolare, non è credibile la dottrina cristiana che esista un Dio onnipotente ed infinitamente buono, avuto riguardo alla sofferenza che da millenni domina sulla terra." Se Dio, però, non è una certezza, è l'anelito, la nostalgia (Sehnsucht), la speranza che l'assassino non trionfi sulla vittima innocente".
La fede è quindi orizzonte delle possibilità: non è né conquista definitiva né corpus di verità. La fede è la consapevolezza della finitudine e nostalgia dell'assoluto, antidoto contro l'hybris dell'umanismo, contro l'assolutizzazione del relativo. "Ogni essere finito - e l'umanità è finita - che si pavoneggia come il valore ultimo, supremo ed unico, diventa un idolo che ha sete di sacrifici cruenti ed inoltre ha il potere demoniaco di assumere un'altra identità".
Tra gli estremi opposti del credo monolitico e la noncuranza verso l'apertura al senso, si apre forse il varco attraverso cui si può ascoltare l'eco dell'infinito.
La natura prevaricatrice della scienza si accoppia ad una sovrastruttura ideologica che si esplica nel totale appeasement alle istanze delle classi dominanti. L'applicazione tecnologica della ricerca, più che favorire un maggiore benessere, diventa strumento di controllo, la longa manus di un sistema che il pensatore definisce "mondo amministrato", il definitivo compimento del regno moderno della schiavitù. "La logica immanente della storia porta in realtà ad un mondo amministrato. Tramite la potenza in via di sviluppo della tecnica, la ristrutturazione inarrestabile dei singoli popoli in gruppi rigidamente organizzati, tramite una competizione senza risparmio di colpi tra i blocchi contrapposti, a me sembra inevitabile la totale amministrazione della società."
In tale contesto, l'alienazione dell'uomo si radica nei rapporti interpersonali, si concreta nel lavoro estraniante, si appropria della dimensione individuale. Questa alienazione è tanto più grave in quanto non percepita come tale, ma persino accettata ed apprezzata, in un totale stravolgimento della condizione umana ormai automatizzata. Manca, oggi giorno, qualsiasi coscienza di tale coercizione: così lo schiavo si ritiene libero, perché partecipa alle consultazioni elettorali e trova la sua realizzazione quanto più si allontana dalla realtà, rifugiandosi in un eden fittizio di informazione preconfezionata e di divertimenti omologati.
L'incoscienza del proprio stato ostacola il pensiero e l'azione, come dissenso e contestazione del potere: il suddito è in letargo o, meglio, vive in una dimensione allucinatoria dove le immagini e le notizie dei media mainstream proiettano un universo artificioso e narcotizzante. Paradossalmente è l'antropocentrismo che distrugge l'identità umana, poiché recide i legami con la natura e con l'Altro. Vellicandolo nel suo orgoglio sub-umano, la modernità lusinga l'individuo con la felicità tecnologica, gli prospetta una quasi immortalità bionica, eclissando, tramite la divinizzazione dell'effimero, il senso del tempo e della caducità. La morte, esorcizzata e rimossa, è confinata nel dominio dell'inattuale, di una ritualità banale e conformista.
Si perde il sentimento della finitezza umana, pietra di paragone rispetto all'ulteriore. La chiusura verso la Trascendenza è negazione delle domande (l'uomo che non pensa è oggetto "usa e getta"), deproblematizzazione della vita e del cosmo: il risultato non è neppure l'ateismo, ma l'indifferenza. Come afferma Horkheimer: "Non possiamo provare l'esistenza di Dio, anzi di fronte al dolore del mondo, di fronte all'ingiustizia, è impossibile credere nel dogma dell'esistenza di un Dio onnipotente e sommamente buono. In particolare, non è credibile la dottrina cristiana che esista un Dio onnipotente ed infinitamente buono, avuto riguardo alla sofferenza che da millenni domina sulla terra." Se Dio, però, non è una certezza, è l'anelito, la nostalgia (Sehnsucht), la speranza che l'assassino non trionfi sulla vittima innocente".
La fede è quindi orizzonte delle possibilità: non è né conquista definitiva né corpus di verità. La fede è la consapevolezza della finitudine e nostalgia dell'assoluto, antidoto contro l'hybris dell'umanismo, contro l'assolutizzazione del relativo. "Ogni essere finito - e l'umanità è finita - che si pavoneggia come il valore ultimo, supremo ed unico, diventa un idolo che ha sete di sacrifici cruenti ed inoltre ha il potere demoniaco di assumere un'altra identità".
Tra gli estremi opposti del credo monolitico e la noncuranza verso l'apertura al senso, si apre forse il varco attraverso cui si può ascoltare l'eco dell'infinito.
insomma si stava meglio quando si stava peggio.
ReplyDeleteper il resto si la gente con una vita normale sono solo illusi. la scienza è cattiva.
na paraculata enorme.
Yen schiavo,allienato, alieno e dormiente. ma psicologicamente sano.
Invece quando si zappava il campo dall'alba al tramonto si stava bene e non si era alienati, quando qualsiasi cosa a più di 20 km era estranea si stava meglio, quando si mangiava poco e male, si era felici. Non c'è problema. Se questi vogliono tornare a quella vita, è facile. Rinunci alla corrente, al frigorifero, a internet e al telefono, prendi la tua zappetta e vai. Mi immagino già la risposta, no ma quello lo devono fare gli altri, io voglio fare il signore nel castello.
ReplyDeleteNon posso che quotare Antonio.
ReplyDeleteFacile parlare quando si ha il culo al caldo e la pappa pronta.
Saluti
Michele
Ps: io posso fare il capo dei Ranger? :D
Hanmar, precisa quale Antonio, anche il minkione di Sanremo si chiama Antonio :D
ReplyDeleteGuarda che per me quello di Sanremo e' o "tony" o "il professore".
ReplyDeleteCredo di non averlo mai chiamato per esteso...
Saluti
Michele
L'eco dell'infinito si può ascoltare pure battendo un colpo in testa a zretino e sentire il cranio vuoto risuonare come una cassa armonica
ReplyDeleteGuarda che per me quello di Sanremo e' o "tony" o "il professore".
ReplyDeleteOppure "Tony e il professore"?
Naaa, quello era un bel telefilm, altro che 'sto Savonarola fallito...