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Gog e Magog (prima parte)
Gog e Magog sono leggendarie popolazioni dell'Asia centrale, citate nella tradizione biblica e poi in quella coranica, quali genti selvagge e sanguinarie, fonte di incombente e terribile minaccia.
In varie epoche furono identificati con Sciti, Goti, Mongoli, Tartari, Ungari o Khazari.
La tradizione di Gog e Magog (ebraico גוג ומגוג; arabo يأجوج و مأجوج) trova la sua scaturigine nella Bibbia ebraica (Genesi 10: qui Magog è il capostipite di un popolo, ma può anche essere il nome della nazione oppure la terra di Gog) con riferimento a Magog, figlio di Jafet, e prosegue con una serie di oscure profezie nel Libro di Ezechiele, i cui echi si avvertono nell'Apocalisse detta di Giovanni e nel Corano. La tradizione è fumosa e l'identità dei personaggi differisce da una fonte all'altra. Essi vengono descritti ora come uomini, ora come esseri soprannaturali, giganti o demoni, gruppi etnici o abbinati a territori. In modo piuttosto strano, Gog e Magog approdano in Britannia, nella mitologia tardo antica e medievale: in terra d’Albione essi diventano due giganti, unici sopravvissuti di una mostruosa figliolanza nata dalle trentatré figlie dell’imperatore Diocleziano.
Giovanni Pascoli, nei “Poemi conviviali”, rispolvera il mito di Gog e Magog, fondendo diverse leggende. L’antico racconto biblico, per un curioso sincretismo s’intreccia con le saghe fiorite sulle imprese di Alessandro Magno: il particolare della porta di bronzo fatta erigere dal Macedone per sbarrare il passo ai popoli selvaggi del Caucaso deriva dalla “Storia favolosa” dello Pseudo-Callistene, dalle Revelationes dette di Metodio e dal Corano, nel quale si narra che Zul Karmein (ossia il Bicorne, nome con cui il libro sacro dell’Islam designa Alessandro, identificato nel figlio di Olimpia e di Ammone, raffigurato con corna d’ariete) per bloccare la furia belluina degli immondi popoli antropofagi di Gog e Magog, eresse una grande porta. Secondo il Corano, la porta sarà scardinata solo alla fine dei tempi.
Nel Medioevo la leggenda si arricchì grazie a poeti islamici per prendere “nuova vita nel secolo XII, quando la sùbita irruzione dei Mongoli commosse ed atterrì violentemente il mondo. Era facile pensare che si trattasse proprio delle genti di Gog e Magog il cui traboccare sul mondo era tanto temuto. Il nome di Magog suonava abbastanza vicino a quello di Mongoli” (Valli). Giovanni Villani nella sua Cronica (V, 29) accolse una versione secondo cui Alessandro Magno aveva rinchiuso nei monti di Belgen una tribù ebraica dai turpi costumi. Questa tribù, mischiatasi con altre popolazioni, rimase colà confinata perché credeva che l’esercito del Macedone fosse acquartierato lì vicino all’interno di una roccaforte imprendibile. Alessandro, infatti, era ricorso ad un artificio per simulare il suono di trombe, traendolo dalla terra concava. Gog e Magog dilagheranno, una volta in cui si saranno accorti dello stratagemma.
Il Pascoli compone un poemetto di respiro epico, animato da immagini grandiose ed apocalittiche: le steppe imbevute di porpora al tramonto e calcinate dalla luce lunare, sono percorse da echi sinistri: grida di nomadi, scalpitii di branchi, fischi di tormente, soffi di gufi… Ancora più inquietanti sono i nomi dei popoli che impazienti s’ammassano presso la porta bronzea. Metodio ne cita ventidue ed il poeta affastella quei nomi simili a lugubri formule di un grimorio: Alan, Aneg, Ageg, Assur, Thubal, Cephar, Mong, Mosach, Pothim, Thubal.
In varie epoche furono identificati con Sciti, Goti, Mongoli, Tartari, Ungari o Khazari.
La tradizione di Gog e Magog (ebraico גוג ומגוג; arabo يأجوج و مأجوج) trova la sua scaturigine nella Bibbia ebraica (Genesi 10: qui Magog è il capostipite di un popolo, ma può anche essere il nome della nazione oppure la terra di Gog) con riferimento a Magog, figlio di Jafet, e prosegue con una serie di oscure profezie nel Libro di Ezechiele, i cui echi si avvertono nell'Apocalisse detta di Giovanni e nel Corano. La tradizione è fumosa e l'identità dei personaggi differisce da una fonte all'altra. Essi vengono descritti ora come uomini, ora come esseri soprannaturali, giganti o demoni, gruppi etnici o abbinati a territori. In modo piuttosto strano, Gog e Magog approdano in Britannia, nella mitologia tardo antica e medievale: in terra d’Albione essi diventano due giganti, unici sopravvissuti di una mostruosa figliolanza nata dalle trentatré figlie dell’imperatore Diocleziano.
Giovanni Pascoli, nei “Poemi conviviali”, rispolvera il mito di Gog e Magog, fondendo diverse leggende. L’antico racconto biblico, per un curioso sincretismo s’intreccia con le saghe fiorite sulle imprese di Alessandro Magno: il particolare della porta di bronzo fatta erigere dal Macedone per sbarrare il passo ai popoli selvaggi del Caucaso deriva dalla “Storia favolosa” dello Pseudo-Callistene, dalle Revelationes dette di Metodio e dal Corano, nel quale si narra che Zul Karmein (ossia il Bicorne, nome con cui il libro sacro dell’Islam designa Alessandro, identificato nel figlio di Olimpia e di Ammone, raffigurato con corna d’ariete) per bloccare la furia belluina degli immondi popoli antropofagi di Gog e Magog, eresse una grande porta. Secondo il Corano, la porta sarà scardinata solo alla fine dei tempi.
Nel Medioevo la leggenda si arricchì grazie a poeti islamici per prendere “nuova vita nel secolo XII, quando la sùbita irruzione dei Mongoli commosse ed atterrì violentemente il mondo. Era facile pensare che si trattasse proprio delle genti di Gog e Magog il cui traboccare sul mondo era tanto temuto. Il nome di Magog suonava abbastanza vicino a quello di Mongoli” (Valli). Giovanni Villani nella sua Cronica (V, 29) accolse una versione secondo cui Alessandro Magno aveva rinchiuso nei monti di Belgen una tribù ebraica dai turpi costumi. Questa tribù, mischiatasi con altre popolazioni, rimase colà confinata perché credeva che l’esercito del Macedone fosse acquartierato lì vicino all’interno di una roccaforte imprendibile. Alessandro, infatti, era ricorso ad un artificio per simulare il suono di trombe, traendolo dalla terra concava. Gog e Magog dilagheranno, una volta in cui si saranno accorti dello stratagemma.
Il Pascoli compone un poemetto di respiro epico, animato da immagini grandiose ed apocalittiche: le steppe imbevute di porpora al tramonto e calcinate dalla luce lunare, sono percorse da echi sinistri: grida di nomadi, scalpitii di branchi, fischi di tormente, soffi di gufi… Ancora più inquietanti sono i nomi dei popoli che impazienti s’ammassano presso la porta bronzea. Metodio ne cita ventidue ed il poeta affastella quei nomi simili a lugubri formule di un grimorio: Alan, Aneg, Ageg, Assur, Thubal, Cephar, Mong, Mosach, Pothim, Thubal.
Yog-Sothoth conosce la porta. Yog-Sothoth è la porta. Yog-Sothoth è la chiave e il guardiano della porta. Passato, presente e futuro coesistono in Yog-Sothoth. Egli sa dove gli Antichi irruppero in tempi remoti, e dove irromperanno un’altra volta. Egli sa dove essi hanno calcato i tempi della Terra e dove ancora li calcheranno, e perché nessuno può contemplarLi mentre camminano…
ReplyDeleteY'AI'NG'NGAH
YOG-SOTHOTH
H'EE-L'GEB
F'AI TRHODOG
UAAAAH
Aspettiamo con ansia la seconda parte, vero?
ReplyDelete...
Ehhhh, come no. :D
Saluti
Michele